Quando si parla di sperimentazione animale ci sono due differenti punti di vista, quello di chi ritiene che la ricerca non possa essere fatta senza l’uso di animali e quella di chi, al contrario, ritiene che la ricerca con l’uso di animali sia eticamente sbagliata e lo sia anche da un punto di vista scientifico.
L’uso degli animali nella ricerca ha origini antiche e anche chi vi si oppone. Tuttavia, con l’uso di Internet e la circolazione delle notizie le persone si pongono sempre più domande anche perché la sensibilità verso gli animali è aumentata.
Da un lato, i ricercatori sono convinti che il “sacrificio” – termine, che evoca il sacrificio fatto agli Dei per evitare sciagure- degli animali sia fatto per un bene più grande, portare avanti la terapie e le cure per gli esseri umani.
Dall’altro lato, chi si oppone non crede che vi sia nessuna bilancia che possa soppesare rischi e benefici e che chi usa gli animali nella ricerca non si prenda cura di loro ma li consideri degli oggetti.
Questa convinzione, del resto non è fugata da nessuno poiché i laboratori dove si fa sperimentazione sono non-luoghi chiusi in cui è impossibile entrare.
Per “educare” il pubblico, e fargli accettare la scienza senza contestarla, l’Europa ha promosso dei programmi di conoscenza del pubblico sulla scienza, in inglese noti con l’acronimo PUS (public understanding of science).
Gli scienziati sono, infatti, convinti che questa opposizione da parte del pubblico sia dovuta all’ ignoranza ma come, invece, dimostrano diverse ricerche il fatto che il pubblico sia informato non conduce ad un’ accettazione anzi spesso accade il contrario.
Il problema, dunque, non è solo come il pubblico percepisce lo scienziato ma anche come lo scienziato percepisce il pubblico.
Nel contesto dei laboratori di ricerca l’animale non è considerato in quanto tale ma come “animale da laboratorio”, quasi che sia una specie diversa, ciò serve a segnare una linea di demarcazione tra gli “animali da laboratorio” e tutti gli altri.
Costituisce, linguisticamente parlando, una legittimazione ad utilizzarli come “modelli”.
L’”animale da laboratorio” è un “modello” che consente, a parere dei ricercatori, un processo di standardizzazione diventando parte integrante del laboratorio stesso. La standardizzazione, infatti, serve ad eliminare variabili e consentire la replicabilità dell’esperimento, dei dati e dei risultati che costituiranno il pilastro portante delle pubblicazioni.
È per questo motivo che, ad esempio, i topi da laboratorio sono geneticamente modificati e creati su misura per rispondere alle esigenze del ricercatore ed agli obiettivi della sua ricerca.
Nel mondo ci sono decine di laboratori riuniti in network che creano topi e ratti geneticamente modificati in modo da esprimere la malattia che serve al laboratorio per sperimentare.
Questi laboratori creano animali affinché vengano ordinati da altri laboratori che li scelgono su catalogo esattamente come si fa un bene di consumo.
E’ indubbio, dunque, che questi animali siano considerati strumenti, di cui non si fa menzione negli articoli scientifici, se non sotto forma di dati e grafici.
I ricercatori vorrebbero che il pubblico sia come loro che hanno imparato a gestire i loro conflitti emotivi spingendo l’acceleratore sulla razionalità e che non si ponga dilemmi etici, considerati “antiscientifici”.
Il ricercatore ha imparato a non guardare al cane come ad un cane ma come ad “un animale da laboratorio” con un numero e senza un nome al fine di accentuare il distacco emotivo.
Se poi ad essere oggetto delle ricerche è prevalentemente il topo, che è sempre stato considerato portatore di malattie ed ucciso in trappole di tutti i tipi, basta guardare questa lunga lista di progetti di ricerca, il ricercatore non capisce il perché di questi dilemmi visto che la ricerca gli ha conferito la “dignità” rendendolo un animale che rappresenta il progresso medico.
Sono ironica ovviamente.
Non è, un caso che il primo animale geneticamente modificato sia stato l’Onco-Mouse.
Il topo costituisce, a tutti gli effetti, il capitale scientifico dei ricercatori, il loro Eldorado senza il quale non potrebbero pubblicare e si sa che nel mondo della ricerca l’imperativo è:
To publish or perish
Il topo è anche l’animale maggiormente rappresentato nella comunicazione a favore della sperimentazione perché è quello che solleva, purtroppo, meno dilemmi etici.
Ma nei laboratori di ricerca non si sperimenta solo sui topi come vediamo da questo infografica pubblicata all’interno del “Report della Commissione Europea sul numero di animali usati nella sperimentazione nel periodo 2015-2017 ”
2015 | 2016 | 2017 | |
Topi | 5 711 612 | 5 989 413 | 5 707 471 |
Ratti | 1 201 189 | 1 173 135 | 1 146 299 |
Porcellini d’India | 149 328 | 150 985 | 144 824 |
Criceti (siriani) | 20 195 | 18 614 | 12 700 |
Criceti (cinesi) | 30 | 519 | 187 |
Gerbilli della Mongolia | 6 199 | 5 645 | 5 239 |
Altri roditori | 26 088 | 13 712 | 25 172 |
Conigli | 346 052 | 350 405 | 351 961 |
Gatti | 1 975 | 1 951 | 1 879 |
Cani | 14 501 | 15 691 | 13 688 |
Furetti | 2 212 | 1 530 | 2 016 |
Altri carnivori | 3 648 | 1 444 | 2 386 |
Cavalli, asini e ibridi | 3 217 | 3 474 | 2 414 |
Maiali | 73 895 | 80 029 | 71 522 |
Capre | 2 233 | 1 365 | 1 563 |
Pecore | 20 106 | 21 240 | 18 812 |
Bovini | 26 763 | 22 782 | 30 643 |
Proscimmie | 169 | 44 | 98 |
Uistitì e tamarini | 429 | 285 | 465 |
Scimmie scoiattolo | 13 | 8 | 8 |
Altre specie di scimmie del nuovo mondo (Ceboidea) | 0 | 0 | 3 |
Macachi di Giava | 6 221 | 6 503 | 7 227 |
Macachi resi | 211 | 318 | 353 |
Cercopitechi (Chlorocebus spp.) | 56 | 19 | 33 |
Babbuini | 37 | 62 | 25 |
Altre specie di scimmie del vecchio mondo (Cercopithecoidea) | 0 | 0 | 23 |
Altri mammiferi | 9 535 | 3 637 | 26 335 |
Pollame domestico | 515 834 | 500 920 | 464 553 |
Altri uccelli | 119 377 | 94 804 | 99 410 |
Rettili | 2 414 | 3 240 | 2 937 |
Rane | 4 884 | 4 482 | 3 485 |
Xenopus | 10 837 | 18 511 | 13 539 |
Altri anfibi | 20 190 | 19 558 | 10 683 |
Pesci zebra | 338 815 | 513 011 | 499 763 |
Altri pesci | 936 252 | 791 726 | 719 932 |
Cefalopodi | 15 862 | 8 884 | 514 |
Totale | 9 590 379 | 9 817 946 | 9 388 162 |
Tutta la ricerca sugli animali si basa sulla standardizzazione degli spazi, delle gabbie in cui gli animali vivono, tutto è studiato per ottenere il massimo risultato nel minor tempo possibile.
Ad esempio, nelle gabbie spesso non c’è lo spazio per nascondersi quindi non c’è nessuna tana, aspetto indispensabile per il “benessere” degli animali.
Il sapere generato da un laboratorio viene automaticamente considerato generalizzabile ed adattabile a tutte le specie, tra cui quella umana, ed in questa generalizzazione le variabili che intercorrono tra gli individui vengono minimizzate.
Una di queste variabili è la risposta emotiva degli animali che dipende da troppi fattori tra cui, chi maneggia gli animali, la risposta all’ambiente in cui l’animale vive ma anche in cui è nato.
Ce lo insegna l’epigenetica.
Questi animali sostanzialmente invisibili nascosti alla vista e nelle pubblicazioni subiscono ogni genere di sperimentazione, a volte, come la stessa normativa consente, se lo richiede la finalità dell’esperimento possono anche non ricevere antidolorifici e possono anche non essere “sacrificati” se soffrono troppo perché, sempre se lo richiede la finalità dell’esperimento, la normativa lo consente.
La normativa di riferimento è la Direttiva 63/2010, che all’Allegato VIII Sezione Terza prevede che rientrano tra gli esperimenti da classificare come gravi i seguenti:
a) Prove di tossicità in cui la morte è il punto finale, o si prevedono decessi accidentali e sono indotti stati patofisiologici gravi. Ad esempio, prova di tossicità acuta con dose unica (cfr. orientamenti OCSE in materia di prove);
b) prova di dispositivi che, in caso di guasti, possono causare dolore o angoscia intensi o la morte dell’animale (ad esempio dispostivi cardiaci);
c) prova di potenza dei vaccini caratterizzata da deterioramento persistente delle condizioni dell’animale, graduale malattia che porta alla morte, associate a dolore, angoscia o sofferenza moderati e di lunga durata;
d) irradiazione o chemioterapia in dose letale senza ricostituzione del sistema immunitario, ovvero con ricostituzione e reazione immunologica contro l’ospite nel trapianto;
e) modelli di induzione di tumori o tumori spontanei che si prevede causino malattia progressiva letale associata a dolore, angoscia o sofferenza moderati di lunga durata Ad esempio, tumori che causano cachessia, tumori ossei invasivi, tumori metastatizzati e tumori che causano ulcerazioni;
f) interventi chirurgici e di altro tipo in anestesia generale che si prevede causino dolore, sofferenza o angoscia postoperatori intensi, oppure moderati e persistenti, ovvero deterioramento grave e persistente delle condizioni generali dell’animale. Produzione di fratture instabili, toracotomia senza somministrazione di idonei analgesici, ovvero traumi intesi a produrre insufficienze organiche multiple;
g) trapianto di organi in cui il rigetto può causare angoscia intensa o deterioramento grave delle condizioni generali dell’animale (ad esempio xenotrapianto);
h) riproduzione di animali con alterazioni genetiche che si prevede causino deterioramento grave e persistente delle condizioni generali, ad esempio morbo di Huntington, distrofia muscolare, nevriti croniche recidivanti;
i) uso di gabbie metaboliche con limitazione grave del movimento per un lungo periodo;
j) scosse elettriche inevitabili (ad esempio per indurre impotenza acquisita);
k) isolamento completo di specie socievoli per lunghi periodi, ad esempio cani e primati non umani;
l) stress da immobilizzazione per indurre ulcere gastriche o insufficienze cardiache nei ratti;
m) nuoto forzato o altri esercizi in cui il punto finale è l’esaurimento.
Alla luce di questo, e non solo, il dilemma etico diventa imperativo altro che “ignoranza”
Bibliografia: Sacrifice: How Scientific Experiments Transform Animals and People (New Directions in the Human-Animal Bond) A. Arluke, L. Birke; Technoscientific bespoking: Animals, publics and the new genetics, M. Michael; Sperimentazione animale. Un dialogo tra scienza ed etica, P. Sobbrio et aliii;