L’animale oggetto delle normative non ha per le stesse un valore intrinseco, ma soltanto in relazione a ciò per cui serve, quindi, se è utile soprattutto se gli animali sono classificati come “da reddito” o “da sperimentazione”.
Queste normative sono fortemente condizionate da una prospettiva antropocentrica
Stefano Rodotà ci ricordava, in uno dei suoi bellissimi libri, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, che viviamo in una società satura di diritto, di regole giuridiche che provengono da tante fonti, pubbliche e private, ma avvertiva:
“La consapevolezza sociale non è sempre adeguata alla complessità di questo fenomeno, che rivela anche asimmetrie e scompensi fortissimi, vuoti e pieni, con un diritto invadente in troppi settori e tuttavia assente là dove più se ne avvertirebbe il bisogno”
e che:
“Il diritto, dunque, può entrare nella vita in modi assai diversi, legati al modo in cui può essere usato. Se vi è una lotta per il diritto, degna di essere combattuta e vissuta, vi è pure una lotta con il diritto che la vita ingaggia in ogni momento” .
Per vedere rispettato il diritto alla non sofferenza degli animali, che a una prima occhiata sembrerebbe essere il presupposto fondante di queste normative, bisogna ingaggiare una lotta serrata.
La lotta è impari, e vede, da un lato, animali che da soli non possono difendersi e, dall’altro, la società che ne rivendica il dominio con argomentazioni variabili a seconda del contesto e della latitudine, come è il caso del tristemente noto festival di Yulin, che indigna tanto “gli occidentali” che, però, ogni anno mangiano in media 80 kg di carne proveniente da animali altrettanto sensibili e senzienti quanto i cani.
L’animale rimane, per il diritto, una cosa,un oggetto di proprietà, un mezzo per il raggiungimento di un fine umano.
Nell’ambito della discussione dottrinale giuridico-politica, sono diverse le posizioni che si contrappongono, una di queste, portata avanti da Gary Francione, mira alla totale abolizione delle gabbie.
Francione arriva alla conclusione per la quale dal momento che gli animali sono essenzialmente oggetti di proprietà, essi sono beni economici e, quindi, le normative proteggono gli animali in misura molto limitata non riducendo la sofferenza in alcun modo che sia significativo.
Francione sostiene che l’approccio welfaristico è rassicurante per il pubblico e rafforza lo sfruttamento animale.
Francione, pertanto, si chiede come mai le associazioni animaliste possano sostenere l’approccio che punta al “benessere animale” dal momento che mantiene lo status quo.
Per il welfarismo è accettabile che l’essere umano usi gli animali per certi fini per i quali nessun essere umano accetterebbe che altri esseri umani siano usati anche se il trattamento fosse “umano” e se fossero evitate le sofferenze “non necessarie”.
Quella di Francione nel panorama delle teorie giuridiche è quella più netta mentre, ad esempio, David S. Favre, suggerisce un approccio “a tappe” per piccoli passi.
Secondo Favre non si può parlare attualmente di diritti per gli animali ma solo di interessi rilevanti.
Alasdair Cochrane, invece, nel suo Animal Rights Without Liberation: Applied Ethics and Human Obligations. Critical Perspectives on Animals, sostiene che gli animali non possano avere diritti semplicemente perché non hanno un interesse intrinseco alla libertà, e quindi hanno interessi basati sui diritti, come il diritto a non soffrire e quello alla vita, ma non alla libertà.
In quest’ottica è sufficiente imporre stretti doveri all’ essere umano, ma tra questi non rientra quello di liberarli, poiché molti animali non hanno nessun interesse ad essere liberi e corrispondentemente non esiste nessun dovere da parte dell’essere umano di farlo.
Sintetizzando si può dire che, Francione opta per una soluzione definitiva che punta alla libertà totale dell’individuo animale, Favre introduce il concetto di proprietà responsabile, pur entro la cornice dell’attuale considerazione dell’animale, e Cochrane cambia la cornice, ma rimane in una posizione welfarista dove però non esistono i macelli e gli allevamenti intensivi.