Il mondo animale è sempre stato oggetto di sfruttamento da parte dell’essere umano e negli ultimi decenni questa sua “peculiarità” si è accentuata ancora di più.
Il consumo di massa ha peggiorato in modo esponenziale questa situazione perché si consuma in modo indiscriminato senza pensare che dietro ad ogni prodotto ci sono costi nascosti che ricadono sui più deboli, tra questi gli animali.
Tra questi prodotti ci sono anche i cosmetici, l’industria della bellezza produce, infatti, miliardi di unità di imballaggio non riciclabili, quindi, ad alto impatto ambientale per non parlare del contenuto di creme e trucchi che inquinano non solo l’ acqua ma anche l’aria.
Secondo l’ECHA (European chemicals Agency)
“In Europa utilizziamo in media almeno sette prodotti cosmetici differenti al giorno. Si va dai prodotti per l’igiene come sapone, shampoo, deodorante e dentifricio a prodotti di bellezza come profumi e trucco. I cosmetici contengono molte sostanze chimiche”.
Per questo è importante scegliere prodotti cosmetici e di uso quotidiano sicuri ma che non abbiano costi nascosti di sofferenza per uomini, animali ed ambiente.
Ma cosa s’intende per prodotto cosmetico? Ce lo dice l’art 2, lettera a) del regolamento comunitario 123 del 2009 sui prodotti cosmetici:
“Qualsiasi sostanza o miscela destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo esclusiva-mente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei”
Quindi non solo make- up ma anche prodotti per l’igiene personale.
Per sostanza e miscela s’intendono, ai sensi rispettivamente delle lettere B e C del suddetto articolo
“un elemento chimico e i suoi composti, allo stato naturale od ottenuti per mezzo di un procedimento di fabbricazione, compresi gli additivi necessari a mantenerne la stabilità e le impurezze derivanti dal procedimento utilizzato, ma esclusi i solventi che possono essere separati senza compromettere la stabilità della so-stanza o modificarne la composizione; “una miscela o una soluzione composta di due o più sostanze”.
Questo regolamento ha introdotto il divieto di sperimentazione su animali ma permangono delle zone d’ombra, una delle quali è la dicitura cruelty free che troviamo su tanti prodotti cosmetici.
Due sono le autocertificazioni più importanti a cui fare riferimento.
Una è quella relativa alla certificazione rilasciata da Peta, nota con il simbolo del coniglietto Rosa, che prende il nome di Leap bunny, l’altra è quella che si conosce con il simbolo del coniglietto stilizzato con due stelle sotto, che è anche forse la più nota.
Molti marchi inseriscono questi simboli sui loro prodotti cosmetici prodotti in Europa ma è davvero necessario o è solo una modalità, come un’altra, di fare marketing?
E’ da specificare che la dicitura “non testato su animali” si riferisce alla sperimentazione sui prodotti finiti ma a ciò si aggiunge che dopo il bando totale deciso dalla UE dal marzo 2013, le scritte “cruelty free” o “non testato su animali” non hanno alcun senso.
Quindi l’assenza della dicitura “non testato su animali” non significa che il prodotto sia stato testato sugli animali proprio perché testare su animali è vietato, quindi questi simboli sono anche ingannevoli.
Una nota casa produttrice di cosmetici è stata multata dall’Autorità garante della pubblicità proprio per aver usato nella pubblicità questa dicitura ora sostituita con “Stop ai test su animali”[1].
Questi bollini sono, dunque, una forma di marketing come un’altra!
La realtà dura e cruda è che la sicurezza degli ingredienti presenti nei prodotti cosmetici – inclusi quelli su cui campeggiano i bellissimi bollini cruelty free e non testato su animali – è assicurata dall’impiego di ingredienti su cui si è testato prima del divieto.
Dura lex sed lex.
Tra l’altro dobbiamo distinguere tra case produttrici di cosmetici, anche Europee, che commercializzano i loro prodotti anche al di fuori dell’Europa e chi non lo fa.
Le prime pur commercializzando in Europa prodotti non testati su animali, non è detto che non si avvalgano della sperimentazione animale nel caso vendano i loro prodotti in paesi diversi da quelli europei. E’ il caso, ad esempio, della Cina paese in cui la sperimentazione animale è obbligatoria, ma che da un punto di vista commerciale ha un forte appeal a causa dell’altissima richiesta di prodotti cosmetici.
Non sarà un caso che durante l’emergenza Covid le uniche aziende del settore make-up che sono cresciute anche in Italia sono state quelle cinesi. Molte aziende cinesi si avvalgono di terzisti italiani per la produzione dei cosmetici che poi vendono in tutto il mondo con il loro marchio.
Come statuito dalla sentenza n° 2016/76 del 22/09/2016 della Corte di Giustizia Europea, l’immissione dei prodotti sul mercato Europeo può essere vietata se gli ingredienti siano stati oggetto di sperimentazioni animali, quando tali sperimentazioni sono state condotte fuori dalla Ue per consentire la commercializzazione del prodotto in paesi terzi e il risultato di tali sperimentazioni è utilizzato per comprovare la sicurezza del prodotto in UE.
La sentenza non prevede un divieto ma una possibilità di divieto.
Una differenza che fa la differenza.
Ma i problemi non finiscono qui, infatti, se un ingrediente contenuto in un cosmetico è stato testato in altro contesto che non sia quello cosmetico può essere utilizzato nel prodotto cosmetico e commercializzato.
In Europa, infatti, vige il regolamento 1907/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, anche detto, tra gli addetti ai lavori, Reach.
Questo regolamento obbliga a testare con test tossicologici, su animali prevalentemente, ogni nuova sostanza chimica immessa sul mercato europeo.
Se quindi un ingrediente non sia stato testato appositamente per il cosmetico ma nell’ambito di verifica di tossicità da uso ripetuto, tossicità riproduttiva e tossicocinetica, per i quali non sono ancora allo studio metodi alternativi questo ingrediente potrebbe far parte di un cosmetico.
Le sostanze utilizzate nei prodotti cosmetici possono dover essere registrate secondo il Regolamento REACH. Queste stesse sostanze possono, tuttavia, anche essere registrate per altri usi diversi da quello cosmetico e questo crea incertezza sul fatto che i test sugli animali possano essere fatti o meno.
La Commissione Europea, in collaborazione con l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (European Chemicals Agency, ECHA), ha chiarito il rapporto tra il divieto di commercializzazione e i requisiti di informazione REACH.
I dichiaranti di sostanze utilizzate esclusivamente nei cosmetici non possono eseguire test su animali, ad eccezione dei test effettuati per valutare i rischi per i lavoratori esposti alla sostanza.
I dichiaranti di sostanze che vengono utilizzate per una serie di scopi non esclusivamente cosmetici, sono, invece, autorizzati ad eseguire la sperimentazione animale.
I dichiaranti di sostanze registrate esclusivamente per uso cosmetico dovranno comunque fornire le informazioni richieste ai sensi di REACH, e solo se è possibile utilizzare metodi alternativi alla sperimentazione animale.
Tradotto per i non addetti ai lavori:
Molti ingredienti che fanno parte dei cosmetici vengono impiegati in prodotti farmaceutici, detergenti e alimenti. Queste sostanze possono, dunque, essere soggette alle prescrizioni in materia di sperimentazione sugli animali previste dalle leggi di settore.
Emblematiche in questo senso due decisioni della Corte d’Appello dell’ECHA che ha stabilito che qualora vi siano ingredienti su cui non ci sono studi che ne possano escludere rischi per la salute e l’ambiente vadano effettuati i test su animali anche se questi ingredienti debbano essere usati solo nell’ambito cosmetico.
In particolare i due ingredienti sono l’Omosalato utilizzato nei prodotti solari come filtro solare UV chimico, considerato un potenziale distruttore endocrino e il salicilato di Ottile che ha la stessa funzione del primo[2].
Infine, vi è anche un altro punto che non può essere trascurato, la dicitura cruelty free viene apposta anche su prodotti contenente latte di asina, miele, bava di lumaca o coloranti di origine animale ed anche sui Pet food a base di carne o pesce.
Ricordiamo, pertanto, che la sperimentazione animale è un aspetto del prodotto cruelty free ma non è certamente l’unico.
Credits : Foto di Copertina Angela di Paolo https://angeladipaolo.fr/about/
Altre foto https://unsplash.com/
[1]https://www.greenme.it/consumare/cosmesi/non-testato-su-animali-pubblicita-ingannevole/#:~:text=Multata%20i%20’I%20Provenzali’%20per%20lo%20spot%20tv,-Roberta%20Ragni&text=Comunicazione%20commerciale%20ingannevole.,’non%20testati%20sugli%20animali‘.
[2] https://echa.europa.eu/it/about-us/who-we-are/board-of-appeal